giuseppe-allamano

Castelnuovo d’Asti, 21 gennaio 1851
Torino, 16 febbraio 1926

Ricorrenza: 16 Febbraio

Sotto Vittorio Emanuele II, nell’ultimo periodo del Regno di Savoia, a 30 chilometri da Torino, sulle colline di Castelnuovo Don Bosco, il 21 gennaio 1851 nacque Giuseppe Allamano.
Quarto di cinque fratelli, Giuseppe Allamano perse il padre all’età di tre anni.
La famiglia -prima scuola che pone le fondamenta della vita- fu privata della sua guida e curata soltanto dalla madre, Anna Maria, sorella di San Giuseppe Cafasso.

E’ interessante notare che Castelnuovo Don Bosco, ufficialmente conosciuta come Castelnuovo d’Asti, è una terra che può essere descritta come dimora di santi. Nell’anno 1811 vi nacque Giuseppe Cafasso; nei dintorni nacquero altri grandi uomini come Don Giovanni Bosco e Giovanni Cagliero, che fu il pioniere del movimento salesiano in Patagonia. A pochi chilometri di distanza da Castelnuovo d’Asti, sulle colline di Piovà Massaia si trova il luogo di nascita di Guglielmo Massaia, il grande evangelizzatore dell’Etiopia nel XIX secolo. Scendendo dalle colline e andando nei pressi di Chieri venne alla luce un altro grande personaggio, San Domenico Savio. La terra di Castelnuovo Don Bosco può essere descritta come il terreno fertile dei santi.

Mentre il Regno di Savoia si preparava al suo ultimo viaggio reale per lasciare spazio ad uno stato parlamentare unito, l’Italia, anche Giuseppe Allamano iniziava il suo viaggio di formazione spirituale per prepararsi ad affrontare la decadenza, il benessere e la popolarità portati dall’Italia recentemente unita. ]
A soli undici anni, entrò nell’oratorio di Don Bosco. Quando tornò a casa dopo aver terminato gli studi, era già deciso ad entrare in seminario. Il fratello gli consigliò di attendere, ma egli insistette dicendo: “oggi mi ha chiamato. Non so se mi chiamerà ancora tra due o tre anni”. Con quel senso di obbedienza che in seguito avrebbe caratterizzato tutte le sue risoluzioni, entrò in seminario. Durante il suo primo anno in seminario fu gravemente malato, ma insistette: “voglio essere santo immediatamente, un grande santo, voglio esserlo e non aspettare”.
Il 20 settembre 1873 fu ordinato sacerdote nella diocesi di Torino. Tuttavia, turbato per la morte della madre, che era rimasta a lungo cieca e costretta a letto, rivolgeva le proprie aspirazioni principalmente alla crescita spirituale dei fratelli.
Avrebbe voluto dedicare la propria vita clericale alle attività parrocchiali, ma il vescovo non glielo consentì, dicendo che aveva per lui una parrocchia più grande, che era il seminario.
Nel 1880, all’età di 29 anni, dopo sette anni di servizio clericale nella formazione dei seminaristi, il vescovo gli conferì la responsabilità di Rettore del Santuario della Consolata.
Al vescovo disse: “sono troppo giovane per dirigere i vecchi”; ma il vescovo rispose: “essere giovani è un difetto che si perde con il passare del tempo”.

Nuovamente con l’obbedienza di un agnello accettò e divenne Rettore della Consolata per 46 anni.

ALLAMANO E LA CONSOLATA

Brillante come una luce, portò una splendida illuminazione al santuario della Consolata. Insieme con Giacomo Camisassa, che fu scelto come vice Rettore, portò splendore e rinnovamento con lavori di restauro al santuario e risveglio spirituale agli abitanti di Torino.
Il Santuario iniziò una nuova vita, mentre la città che lo ospitava subiva mutamenti sociali, politici, economici e urbanistici.
In questo periodo Torino perse il suo ruolo di capitale dell’Italia unita. Fu un cambiamento inevitabile. La vecchia gloriosa capitale del Regno di Savoia subì un drammatico cambiamento in tutti i suoi aspetti: si stava lentamente evolvendo in una città industrializzata, spesso caratterizzata da sommosse popolari, quali risultato dei mutamenti amministrativi. Le difficoltà economiche che attraversava erano così forti che solo la consolazione di Nostra Signora poteva sostenerla.
Allamano era già presente per prestare la sua assistenza nel lavoro di consolazione della città afflitta. Trascorreva lunghe ore nel confessionale dispensando parole di riconciliazione e conforto. Divenne direttore e mentore di vescovi, preti, religiosi e capi di comunità.
Rianimò lo spirito clericale a Torino e la sua reggenza fu estesa al Santuario di Sant’Ignazio di Lanzo
Come un tempio, la Consolata divenne il fulcro spirituale del torinese.
Con la crescente necessità di un apostolato sociale, incoraggiò Giacomo Alberione a fondare ‘La stampa Cattolica’, da cui nel 1899 ebbe origine la pubblicazione periodica ‘La Consolata’.

ALLAMANO IL MISSIONARIO

L’idea di Allamano della vocazione missionaria è di superare le barriere del proprio paese per andare verso zone difficili devastate dalla povertà. Per lui, questo è il vero richiamo all’evangelizzazione iniziato da Cristo quando disse: “andate a tutte le genti e diffondete la buona novella”.
I primi sforzi, che compì nel 1891 con la Propaganda Fide, non ebbero successo, in quanto i fedeli si opposero alla sua decisione di portare via dalla diocesi dei validi sacerdoti. Poiché aumentava il desiderio di molti, che volevano andare in missione ma non con gli ordini esistenti, avvertì l’esigenza di fondare qualcosa di nuovo: l’Istituto dei Missionari della Consolata.
Nuovamente le sue condizioni di salute peggiorarono e fu quasi in punto di morte. Quando era a letto malato l’intera arcidiocesi pregò per la sua guarigione. Il cardinale Agostino Richelmy lo incoraggiò, nonostante la sua fragilità, a rimettersi presto ed affrontare le sue responsabilità con queste parole: “no, non morirai. L’istituto non deve essere fondato da altri se non da te”.
Il 29 gennaio 1900, il malato miracolosamente guarì. Con la guarigione di Allamano, l’istituto dei missionari della Consolata fu fondato. L’anno seguente il cardinale indicò la data della sua guarigione quale data di fondazione dell’istituto.
Non si può negare che in questo periodo Torino stava attraversando uno dei suoi momenti più difficili dopo l’unità d’Italia. L’impresa automobilistica FIAT era già nel pieno della popolarità industriale. Ciò rese Torino più popolare e molti immigrati da dentro e fuori i confini dell’Italia unita si riversarono nell’emergente città industriale.
Mentre la città assisteva al massiccio arrivo degli immigrati, l’8 maggio 1902 i primi quattro missionari della Consolata erano già in viaggio per il Kenya.
L’idea era di continuare nel terreno dell’Etiopia dove aveva operato il Cardinale Massaia. Ma i missionari, che erano già impegnati nell’opera di evangelizzazione, videro le necessità della popolazione locale della regione di Kikuyu in Kenya e rimasero lì.
Per fornire sostentamento ed aiuto alla giovane missione in Africa, Allamano chiese l’assistenza delle suore Vincenzine del Cottolengo. Nell’aprile 1903, le prime otto suore missionarie del Cottolengo partirono per il Kenya con altri missionari della Consolata. Con il passare del tempo, il numero delle suore nelle missioni aumentò a più di cinquanta in Kenya.
L’entusiasmo con cui la missione cresceva lo stupì, tanto che, durante l’udienza papale nel 1909, presentò il problema all’allora papa Pio X.
Il papa lo incoraggiò a stabilire i criteri per istituire le suore missionarie. Rispose che non aveva la vocazione di fondare le suore missionarie. E il Papa gli rispose dicendo: “se non hai la vocazione, io te la darò”
Sempre obbediente agli ordini, fondò quindi le Suore Missionarie della Consolata.
Nel 1910, un anno dopo l’udienza papale, furono istituite le Suore Missionarie della Consolata. L’istituto divenne indipendente e, nello stesso anno, come vicariato apostolico mons. Filippo Penno ricevette l’ordinazione episcopale al Santuario della Consolata.
Con l’affluenza dei missionari in Africa, l’istituto era quasi vuoto a Torino. Ma Allamano non rallentò nel suo lavoro e continuò ad incoraggiare le attività pastorali nella diocesi e all’interno dell’istituto, incoraggiando gli aspiranti missionari con le sue parole ispirate.

ALLAMANO L’ISPIRATORE

Giuseppe Allamano considerava la missione nella sua interezza con l’empatia di una famiglia unita. Li incoraggiava a vivere come una sola famiglia dicendo: “la missione non è un collegio né un seminario, ma una famiglia. Per questo, tutti devono vivere insieme, lavorate insieme per vivere, perché siete tutti fratelli”. work together for live
Oltre al suo normale lavoro durante la settimana, ogni domenica con appuntamenti fissi teneva letture di formazione per studenti, preti ed aspiranti missionari sugli itinerari delle sue convinzioni e devozione al lavoro di evangelizzazione. Voleva che tutti avessero una forte convinzione del lavoro che avrebbero svolto. Li ammoniva ad essere mentalmente consapevoli missionari nelle parole, nel cuore e in tutto ciò che facevano.
Incoraggiava l’obbedienza in tutta la sua natura, poiché attribuiva il suo successo all’obbedienza alla chiamata del Signore tramite la voce dei suoi superiori.
Diceva: “chi avrebbe pensato che il piccolo granello che ha seminato avrebbe potuto crescere e diventare grande come è adesso. E’ perché ho sempre cercato di essere obbediente”.
In ogni aspetto aiutava ad ampliare il ruolo della Chiesa nell’evangelizzare il mondo.
La rivista ‘La Consolata’, che è una delle prime pubblicazioni missionarie, divenne il giusto strumento di evangelizzazione.
Voleva che l’istituto vivesse un modello di santità. Diceva loro: “per essere missionari bisogna prima essere santi”.
Per lui, i santi erano persone che semplicemente non avevano compiuto miracoli ma avevano fatto tutto bene.
Voleva che i missionari fossero non solo evangelizzatori, ma anche lavoratori che contribuissero ampiamente agli sviluppi infrastrutturali delle loro località.

STATO DELLA MISSIONE

Man mano che le località in cui si trovavano le missioni crescevano, le missioni crescevano insieme a loro.
Quando Allamano era vivo, la missione si estese in Somalia, Tanzania e Mozambico.
Oggi, in Africa la missione è presente nella Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Liberia, Djibouti, Guinea, Libia, Costa d’Avorio e Sudafrica.
In America: Colombia, Ecuador, Venezuela, Brasile, Messico, Argentina e U.S.A.
Asia: Corea del Sud e Mongolia
Europa: Spagna, Portogallo, Svizzera, Italia, Polonia e Regno Unito.

Morì il 26 febbraio 1926 e fu beatificato il 7 ottobre 1990. Non compì miracoli, ma fece tutto bene (bene omia fecit).